Citazioni |
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[…] ogni dialetto resta suppergiù lo stesso, la sua identità resta maggiore che l'alterazione, insino a che resiste l'identità della società parlante; a prescindere da quelle grandi rivoluzioni, nelle vicende d'entrambo, le quali conducono di quando in quando intiere società ad adottar la favella d'un'altra gente. (pp. 37-38) - Whitney (1876) […] un altro errore, ben più grosso, quello di identificare effettivamente la favella col pensiero e con la ragione […] non è che il più imperfetto concetto del linguaggio, che possa produrre un abbaglio simile […] Ma vi sono parecchie facoltà che riescono alla produzione della favella; ed hanno, oltre questa, altri modi di manifestarsi. Basta prendere l'essere umano più normalmente dotato d'ogni facoltà, e impedire artificialmente che gli arrivi una sola categoria di sensazioni, quelle dell'udito, e colui non avrà mai una lingua. Se quindi lingua è ragione, la ragione dovrà essere definita come una funzione del nervo acustico. (pp. 363-364) - Whitney (1876) […] ognuno è padrone di tenere che le alterazioni della favella non sieno fatte dalla volontà umana. Certo, non v'è una volontà d'alterar la favella; vi è solo la volontà di usare la favella in un modo che è nuovo; e l'alterazione vien da sé come risultato. (pp. 182-183) - Whitney (1876) […] l'uomo può traversare lo spazio, trattare e plasmare i materiali, ordire i tessuti, percorrere le distanze, osservare ciò che è piccolissimo, al di là di quel che potrebbe fare colle sue facoltà fisiche sprovviste d'aiuto, così la portata e la presa, la penetrazione e l'esattezza, del suo pensiero, è aumentata dalla favella. Questa parte del valore della favella non è punto facile ben avvertirla, perché le nostre menti son così avvezze ad operare con le parole e attraverso la trafila delle parole, da non saper neanche concepire lo stato in cui sarebbero, quando fossero spoglie di tali aiuti. (p. 27) - Whitney (1876) […] non v'è linguaggio al mondo che non esista nella condizione di divisione dialettale, cosicchè la favella di ogni comunità è un membro di una famiglia più o meno estesa- ammenocchè, veramente, non vi sia possibilmente qua o là un linguaggio isolato, così prossimo ad estinguersi, da essere usato soltanto nella più angusta società possibile, da poche famiglie, cioè, o da un solo villaggio. (p. 213) - Whitney (1876) […] sebbene una nazione possa prendere a prestito la coltura dai suoi vicini, non può fare altrettanto dello sviluppo linguistico, nessuna razza mai adottò un nuovo modo di svolgere l'organismo della sua favella nativa per imitazione di un'altra; quantunque qualche società quando vi abbia avuto un sufficiente impulso esterno, abbia scambiata la sua nativa favella con un'altra […]. (p. 273) - Whitney (1876) […] noi abbiamo qua e là, non sempre consapevolmente, nella nostra favella presente, reminescenze dell'antico ordine di cose, in forma di traslati. (p. 126) - Whitney (1876) Un […] parallelo possiamo fare con l'arte, strettamente affine, della scrittura; la quale completa e moltiplica tutti i vantaggi dell'arte del parlare, ed è tanto indispensabile alla coltura superiore, quanto la favella alla inferiore; ma, come la favella, essa nacque per forza d'un procedimento, in cui il solo motivo consapevole fu la comunicazione. Tutti i suoi usi superiori vennero di conseguenza […]. (p. 342) - Whitney (1876) L'uomo possiede come una delle sue caratteristiche più spiccate e distintive, una facoltà o attitudine di parlare, o, meglio, varie facoltà e attitudini che conducono senza meno alla produzione della favella; ma una cosa sono le facoltà, e un'altra, ben diversa, sono i loro prodotti elaborati. (p. 335) - Whitney (1876) Le forze cerebrali, la capacità al pensiero, son aumentate dalla favella […]. (p. 366) - Whitney (1876) La scienza del linguaggio ci ha resi democratici […] ci ha insegnato che tanto è lingua la favella di un uomo quanto quella di un altro uomo; che anche la più colta lingua che vi sia non è che il dialetto di una certa classe in un certo luogo […]. (pp. 216-217) - Whitney (1876) Vi è anche uno stato di cose intermedio tra i due estremi, della barbarie e della coltura perfettamente diffusa: cioè, dove c'è una coltura che tocca solo una classe particolare, una minoranza, della società, e gli influssi conservatori di essa coltura si limitano principalmente a quella classe. Questa sola possiede i monumenti del linguaggio, e, usandoli come modelli, ne propaga la favella quasi inalterata, mentre il linguaggio della massa continua a cambiarsi senza freno. Ci viene così ad essere una separazione della favella, originariamente unica, in due parti: un dialetto colto che è l'antico linguaggio conservato, e un linguaggio popolare, che è un suo discendente alterato; e può talora accadere che quest'ultimo finisca a soppiantare l'altro, e divenga alla sua volta la lingua colta di un nuovo ordine di cose. (p. 193) - Whitney (1876) Dall'alternamento ed antitesi loro [di vocale e consonante] dipende il carattere sillabico od "articolato" della favella umana […] Una mera successione di vocali alternantisi non avrebbe avuto un carattere definito, sarebbe stata cantilena anzichè favella; e, d'altro canto, una mera succession di consonanti, sebben pronunziabile, con sufficiente sforzo, sarebbe stato un fracasso indistinto e sgradevole. (p. 86) - Whitney (1876) […] tutte le lingue in questione [lingue romanze e germaniche] sono i distaccati rappresentanti di un'unica favella, parlata in qualche luogo e in qualche tempo, in passato, da un'unica circoscritta società, dalla espansione e dispersione dalla quale son nate nel corso del tempo, tutte le discordanze di essa favella. (p. 212) - Whitney (1876) Le fondamenta sue [della scienza del linguaggio] sono state gettate profonde e solide mercè l'analisi completa di molte delle più importanti favelle umane, e mercè l'esame e la classificazione accurata di quasi tutte le rimanenti. (p. 6) - Whitney (1876)
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